1. Nei giorni fra il 18 ed il 20 gennaio 2014, il nuovo Segretario del Partito Democratico, Matteo Renzi (vincitore delle elezioni primarie dell’8 dicembre 2013), e il Presidente di Forza Italia (rifondata nel novembre 2013) Silvio Berlusconi, hanno raggiunto un accordo su una bozza di legge elettorale, che è stato poi modificato in alcuni dettagli (mai irrilevanti nelle leggi elettorali) e trasfuso in un emendamento alla legge elettorale, ora all’esame della Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati italiana. Com’è noto, l’approvazione di una nuova legge elettorale è resa necessaria dagli effetti della sentenza n. 1 del 2014 della Corte costituzionale (resa nota il 14 gennaio, ma anticipata, quanto al suo contenuto, in un comunicato stampa della Corte costituzionale del 4 dicembre 2013), che ha dichiarato costituzionalmente illegittime le regole più importanti della legge n. 270/2005, relativa al sistema elettorale per la Camera ed il Senato.
Già il 2 gennaio 2014 il segretario del Partito Democratico aveva proposto tre possibili modelli per una nuova legge elettorale: a) un sistema ispirato alla legge elettorale spagnola (in quanto basato su circoscrizioni elettorali di piccole dimensioni, senza riparto dei voti su base nazionale), con l’aggiunta di un premio di maggioranza del 15 per cento dei seggi a beneficio del partito più votato; b) la reintroduzione del sistema elettorale vigente in Italia fra il 1993 ed il 2005 (c.d. legge Mattarella), pur corretto con un premio di maggioranza ed una riserva di seggi per le forze minori (c.d. diritto di tribuna); c) un sistema a doppio turno nazionale di coalizione, con riparto proporzionale dei seggi e premio di maggioranza alla coalizione che, al primo o al secondo turno elettorale, ottenga la maggioranza dei voti.
L’accordo fra Renzi e Berlusconi è stato però raggiunto su una soluzione diversa da quelle ora indicate e piuttosto simile alla legge appena dichiarata incostituzionale dalla Corte costituzionale. Il sistema avrebbe base proporzionale e sarebbe caratterizzato dalla competizione fra liste di partito in circoscrizioni elettorali di ridotte dimensioni (massimo 5 deputati). Il riparto dei seggi avverrebbe però su base nazionale, non circoscrizionale. I partiti potrebbero concorrere alle elezioni in quanto liste singole o come liste collegate fra loro in coalizioni. Al riparto dei seggi sarebbero ammessi solo i partiti che abbiano ottenuto più dell’8 per cento dei voti su scala nazionale (con l’eccezione delle circoscrizioni del Trentino-Alto Adige e della Valle d’Aosta, per esigenze di tutela delle minoranze linguistiche). Le liste facenti parte di coalizioni sarebbero ammesse al riparto qualora la coalizione superasse il 12 per cento dei voti e la singola lista il 5 per cento. Al partito o alla coalizione di partiti che ottenesse su scala nazionale il maggior numero di voti, purché superiore al 35 per cento, sarebbe conferito un premio di maggioranza, tale da consentirgli di ottenere 340 seggi (pari al 53,9 per cento dei seggi per la Camera). Qualora nessun partito conseguisse il 35 per cento dei voti, si procederebbe ad un secondo turno elettorale, al quale sarebbero ammessi solo i due partiti o coalizioni principali. Al partito o coalizione risultato vincitore nel secondo turno sarebbero attribuiti tanti seggi quanti servono per arrivare a 327 seggi (circa il 52 per cento dei deputati). Per l’elezione del Senato è previsto, in via transitoria, un sistema analogo, ma l’accordo fra Renzi e Berlusconi prevede anche che il Senato sia trasformato in Camera delle autonomie, e non sia più eletto a suffragio universale: il che però è possibile solo con una riforma costituzionale, assoggettata ad un procedimento più complesso.
2. Il 29 gennaio 2009, un nuovo accordo fra le principali forze politiche ha corretto in parte le regole appena sintetizzate. Tre sono le modificazioni principali.
In primo luogo, la soglia di consensi elettorali al cui raggiungimento consegue l’attribuzione del premio di maggioranza direttamente al primo turno elettorale è stata innalzata dal 35 al 37 per cento. Il premio di maggioranza avrebbe una entità pari al 15 per cento dei seggi (dunque un partito che ottenesse il 37 per cento dei voti avrebbe il 52 per cento dei seggi; un partito che ottenesse il 38 il 53, ecc.) e a nessuna coalizione vincitrice verrebbe attribuito un premio tale da consentirle di superare il 55 per cento dei voti.
In secondo luogo, la clausola di sbarramento per l’accesso alla rappresentanza è stata modificata, ma solo per le liste inserite in coalizioni (per le liste non coalizzate rimane all’8 per cento). Le liste che siano parte di una coalizione che ottenga almeno il 12 per cento dei voti sarebbero ammesse al riparto dei seggi qualora ottenessero il 4,5 per cento (invece del 5 per cento) su scala nazionale oppure il 9 per cento in almeno tre Regioni.
In terzo luogo è stata reintrodotta la possibilità per i partiti di presentare lo stesso candidato in più circoscrizioni, che era una caratteristica molto criticata della legge n. 270/2005 (una delle caratteristiche che avevano indotto la Corte costituzionale a dichiarare costituzionalmente illegittima tale legge per violazione della libertà di voto).
3. Nel valutare la bozza di legge elettorale è forse opportuno mettersi in due diverse prospettive, muovendo dall’idea che, tradizionalmente, vi sono due modi assai diversi per guardare le istituzioni e la politica. Il primo è osservarle ex parte principis, vale a dire dal punto di vista di chi governa, o aspira a governare. E’ la prospettiva dominante nella scienza della politica e lo era anche nel diritto costituzionale ottocentesco, che non a caso era composto di regole non giustiziabili, consegnate in toto all’autoregolazione delle forze politiche dominanti. Il secondo è guardarla ex parte populi, vale a dire dalla parte dei governati, dei cittadini, all’estremo dei diritti individuali: questa è la prospettiva assunta – non di rado con qualche eccesso – dal diritto costituzionale contemporaneo.
Guardando al compromesso raggiunto sulla legge elettorale da Renzi e Berlusconi, si giunge a due conclusioni diverse se si adotta la prima o la seconda prospettiva.
Visto dal punto di vista delle forze politiche dominanti, quello raggiunto fra il 18 ed il 20 gennaio (e poi rivisto il 29) appare, nel complesso, un compromesso accettabile. Esso soddisfa le esigenze di Forza Italia e del nuovo ceto dirigente del PD di consolidare l’egemonia sul rispettivo frammento di sistema politico, senza sacrificare in maniera inaccettabile gli interessi fondamentali delle altre forze politiche: la caduta del riparto dei seggi su base solo circoscrizionale (l’elemento “spagnolo” delle proposte in discussione all’inizio di gennaio) ha reso “digeribile” la soluzione alle forze intermedie che puntano ad entrare in una delle due coalizioni (il Segretario del PD ha espressamente dichiarato che il riparto su base esclusivamente circoscrizionale, inizialmente ipotizzato, è stato abbandonato su richiesta del Nuovo Centro Destra di Angelino Alfano, il Vicepresidente del Consiglio e Ministro dell’Interno).
Il premio di maggioranza (corposo, forse troppo, potenzialmente pari al 15 per cento) corrisponde alla cultura renziana e berlusconiana del “the winner takes it all”. Il Movimento 5 Stelle non ha partecipato alla trattativa, ma si può ritenere che non verrebbe danneggiato dalle liste bloccate corte, che significano, in sostanza, che si continuerà a votare per i partiti e non per i singoli parlamentari.
L’unico punto disfunzionale e anomalo della bozza è lo sbarramento all’8 per cento per i partiti che non entrano in coalizione: sarebbe la sperrklausel più alta d’Europa, inferiore solo a quella turca (ove non a caso fu fissata dai militari golpisti del 1980, anche se oggi fa molto comodo al Primo Ministro Erdogan) e a quelle previste in Russia e nel Liechtenstein. Una soglia così alta potrebbe essere sospettata di incostituzionalità, per violazione del principio di ragionevolezza e lo stesso si può forse dire per il ricorso a tre tipi diversi di soglie (8 per cento per le liste non coalizzate, 4,5 per le liste coalizzate a meno che non raggiungano il 9 per cento in almeno tre regioni). Inizialmente si poteva pensare che le soglie fossero state previste a livelli così alti solo per utilizzarle come base negoziale con i partiti minori, ma pare invece che i partiti principali si oppongano alla riduzione di esse.
Resta, ovviamente, il nodo delle liste bloccate, che sono accesamente contestate dalla minoranza interna al Partito Democratico e da alcune forze minori, come il Nuovo Centro Destra, Scelta Civica e Fratelli d’Italia. Ma si tratta di una contestazione che, vista ex parte principis, appare un po’ strumentale, in quanto essa ha la sua ragione ultima non in esigenze di equilibrio interpartitico, ma nella “popolarità” del tema del diritto a scegliersi un deputato (dunque si tratta di propaganda) o nella dialettica interna alle forze politiche (è il caso, del tutto comprensibile, della minoranza bersaniana del PD).
Dunque, se la condizione basilare di successo di un sistema elettorale è la sua accettabilità da parte delle forze che competono per il potere, il compromesso cui è stato dato l’orribile nome di Italicum sembra superare questo primo, pur sommario, esame.
4. Tuttavia quello ora visto è solo un lato della medaglia. Se, infatti, ci si interroga sulla bozza guardandola ex parte populi, il giudizio non può essere positivo.
Il “diritto inviolabile di voto”, posto dalla Corte costituzionale alla base della sentenza n. 1/2014 (con cui ha dichiarato incostituzionale la legge n. 270/2005) è il criterio con cui giudicare questo sistema. Ex parte populi, la domanda è: costituisce la bozza un progresso dal punto di vista della idoneità a rappresentare le articolazioni di una società sempre più inquieta e turbolenta? È essa in grado si assicurare un sistema politico aperto e responsabile, che non agisca solo per sé ma sia accountable verso coloro che è chiamato a rappresentare?
A prendere sul serio le critiche non tecniche, ma di fondo, rivolte alla legge elettorale del 2005 negli scorsi anni, si dovrebbe rispondere di no. La bozza è animata da un’ideologia che ricorda gli immortali protagonisti del film Highlander, i quali ripetevano: “there can be only one!”. Ciò, tradotto in termini di sistemi elettorali, si può leggere: “deve esserci ad ogni costo un vincitore, la sera delle elezioni”, dunque mai più “inciuci” (termine dialettale romano con cui negli ultimi anni in Italia si qualificano gli accordi fra forze diverse ritenuti poco nobili) e “larghe intese” (denominazione italiana per le grandi coalizioni).
Ma per realizzare questo obiettivo si accettano distorsioni fortissime della rappresentanza, non molto diverse da quelle operate dalla legge n. 270/2005, che sono state dichiarate incostituzionali, in quanto lesive del principio di rappresentatività, radicato, in ultima analisi, nell’eguaglianza del voto.
Ma soprattutto, viste ex parte populi, le liste bloccate corte appaiono difficilmente giustificabili: esse sembrano un modo per aggirare il vincolo posto dalla Corte costituzionale (ed invero non poco discutibile in punto di diritto), che ha chiesto la “controllabilità” della propria scelta da parte dell’elettore, a tutela della sua libertà di voto. I modi per realizzare questo obiettivo erano due: il ricorso ai collegi uninominali o le preferenze; invece il sistema dei collegi plurinominali piccoli, con riparto dei seggi su scala nazionale, può rivelarsi molto opaco, e ricorda, in fondo, alcuni aspetti della legge oggi vigente per l’elezione dei Consigli provinciali (è un paradosso, ispirarsi a tale legge elettorale mentre il Senato discute un disegno di legge costituzionale che cancellerebbe dalla Costituzione i riferimenti alle province e un disegno di legge ordinarie che ne ridurrebbe drasticamente le funzioni).
Visto dalla parte dei cittadini, il sistema appare dunque insoddisfacente. Esso è figlio di una visione della politica iperrealistica, alla Schumpeter, se si vuole. La scienza politica si è presa la rivincita sul diritto costituzionale. Non che si dovesse auspicare l’esatto contrario, che avrebbe forse condotto ad una legge esattamente uguale a quella uscita dalla sentenza della Corte (proporzionale puro con preferenze), ma il bilanciamento richiesto dal giudice delle leggi fra rappresentatività e governabilità è stato realizzato dalla bozza quasi solo nella prospettiva del secondo dei due valori. Ne risulta un deficit democratico della nascente legislazione elettorale che non lascia ben sperare per la sua accettazione in via stabile nel prossimo futuro, che in fondo è una condizione preliminare per il suo successo.
Marco Olivetti
Professore ordinario di Diritto costituzionale nel Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Foggia, Italia.
Sería interesante saber la opinión del profesor Olivetti sobre la constitucionalidad de la previsión que se hace en este acuerdo sobre la candidatura múltiple, es decir, que un mismo candidato pueda presentarse en varias circunscripciones. Entiendo que en la sentencia que declara inconstitucional el actual sistema este aspecto era de los que la Corte Costituzionale consideraba contrarios a la Constitución. ¿Cómo es posible que se vuelva a proponer?
[…] El debat constitucional italià més recent està marcat per la sentència de la Cort Constitucional sobre la llei electoral, que la declara parcialment inconstitucional, i el pacte entre el nou líder de centre-esquerra Renzi i el líder de centre-dreta en els darrers vint anys, Berlusconi, per aprovar una nova llei electoral. Dos prestigiosos catedràtics de dret constitucional italià comenten un i altre tema, Gianfrancesco la sentència i Olivetti l’acord sobre la reforma electoral. La rellevància de les qüestions suscitades, tant des del punt de vista del contingut jurídic com dels aspectes polítics, transcendeixen el cas italià i incorporen lliçons dignes de ser tingudes en compte pel legislador i per l’estudiós estranger. La dichiarazione di inconstituzionalita’ della legge elettorale italiana ad opera della sentenza n.1 del 2014 della Corte costituzionale – Eduardo Gianfrancesco Gli accordi politici del gennaio 2014 sulla nuova legge elettorale italiana – Marco Olivetti […]