1. Con 334 voti a favore su un totale di 630 deputati, il 4 maggio scorso la Camera dei deputati italiana ha definitivamente approvato la nuova legge elettorale, promulgata il giorno 6 dal Presidente della Repubblica, definita “Italicum” dallo stesso Presidente del Consiglio. La legge va a modificare la legge attualmente vigente (legge n. 270 del 21 dicembre 2005, definita “Porcellum”), gravemente mutilata dalla sentenza della Corte costituzionale all’inizio del 2014 (sentenza n. 1/2014). Dopo quest’ultima sentenza, il mondo politico si è posto l’obiettivo di predisporre una nuova legge, sebbene la decisione della Consulta avesse mantenuto in vita un sistema elettorale comunque utilizzabile.
Quale è stata la logica di fondo che ha ispirato il Governo nel predisporre il testo poi approvato dal Parlamento?
In primo luogo si è scelto di modificare la legge riguardante (soltanto) l’elezione della Camera dei deputati e di non occuparsi invece del sistema elettorale del Senato. Ciò in quanto contemporaneamente è stato attivato un procedimento di revisione costituzionale tendente a trasformare il Senato in una camera non direttamente elettiva: ciò comporta la necessità politica che, una volta approvato l’Italicum, si approvi anche la modifica costituzionale sulla composizione del Senato, altrimenti si potrebbero creare gravi problemi.
L’altra logica che hanno seguito i confezionatori dell’Italicum è stata non di scegliere un sistema diverso da quello del Porcellum, ma di operare alcuni aggiustamenti ad esso, cercando di rimediare ai problemi di costituzionalità indicati dalla Corte costituzionale (e stando attenti a fare il minimo indispensabile); la legge è stata poi modellata secondo le esigenze dei due partiti maggiori ma con l’attenzione a non scontentare nessuno (anche se, alla fine, quasi tutti si sono dichiarati scontenti).
2. Sulla base di tale logica, vediamo quali sono i contenuti principali dell’Italicum.
Prima delle elezioni, i partiti che presentano delle liste devono depositare il programma elettorale nel quale dichiarano il nome e cognome della persona da loro indicata come capo della forza politica: sebbene non possa essere automatico che il “capo della forza politica” poi diventi il Presidente del consiglio (perché la scelta è affidata dalla Costituzione al Capo dello Stato), tuttavia è fortemente probabile che ciò avvenga.
Il giorno delle elezioni, l’elettore si troverà di fronte ad una scheda con alcuni simboli, corrispondenti ai partiti che si sono presentati come appena indicato, e il nome del copolista. L’elettore potrà scegliere una lista ed esprimere una o due preferenze (o anche nessuna, ovviamente): se ne esprime due, una dovrà andare ad un candidato di sesso diverso dal primo. Non potrà invece votare quello che il partito ha indicato come capolista, perché questi sarà direttamente eletto se quella lista otterrà, in quel collegio, almeno un seggio: cosicché verranno eletti mediante il voto di preferenza soltanto i candidati oltre il primo assegnato a quella lista; in altri termini, se in un collegio il partito ottiene un solo seggio, le preferenze saranno inutili. In forza dei calcoli che sono stati fatti sulla base dei sondaggi, i candidati eletti con le preferenze potrebbero essere soltanto quelli del Pd, e quasi nessuno negli altri partiti: nessuno comunque nei partiti minori, che difficilmente potranno ottenere più di un seggio in uno dei cento collegi previsti.
3. Una volta svolte le elezioni, si passa al conteggio dei voti: il sistema è di tipo majority-assuring, cioè garantisce in ogni caso alla lista vincente la maggioranza assoluta dei seggi. Per ottenere il premio (cioè 340 seggi su 630 totali) possono però verificarsi due ipotesi.
La prima è che la lista che arriva prima superi il 40% dei voti validi espressi: in tal caso la lista ottiene comunque 340 seggi, perché riceve un premio di maggioranza. I restanti seggi (290) vengono ripartiti alle altre liste che hanno superato lo sbarramento del 3% (le ‘liste di minoranza’).
La seconda ipotesi si verifica allorché nessuna lista arrivi al 40%: in questo caso si procede ad un secondo turno di votazione (il ballottaggio) tra le due liste che al primo turno hanno conseguito la maggiore cifra elettorale nazionale. Tra il primo e il secondo turno non sono possibili apparentamenti; quindi al secondo turno partecipano soltanto le due liste maggiormente votate al primo turno. La lista che vince il ballottaggio ottiene 340 seggi.
Una novità importante di questo sistema, rispetto alla legge precedente, è che il premio va in ogni caso alla lista e non alla coalizione: quindi non si avranno più coalizioni quali l’Unione, la Casa delle libertà, ecc.
4. Per quanto riguarda le altre liste, per essere ammesse alla ripartizione dei seggi esse dovranno superare una soglia di sbarramento fissata al 3% su scala nazionale (compresi i voti di Valle d’Aosta e Trentino Alto-Adige, mentre nella legge Calderoli i voti della Valle d’Aosta non venivano computati). Una volta determinato a livello nazionale il numero dei seggi spettanti alle liste, si passa a definirne la distribuzione sul territorio, prima nelle circoscrizioni e successivamente nei collegi plurinominali. A tal riguardo, la legge prevede 20 circoscrizioni (corrispondenti alle 20 regioni), all’interno delle quali saranno costituti dei collegi plurinominali (100 in totale): ogni circoscrizione avrà un numero di collegi in proporzione al numero di seggi assegnato alle singole Regioni in base alla popolazione residente. In sostanza, ogni collegio avrà una media di 6 deputati da eleggere.
La ripartizione avverrà in questo modo: se ad esempio una lista ottiene a livello nazionale 80 seggi, si dovranno ripartire questi 80 tra le diverse circoscrizioni, e quelli assegnati a ciascuna circoscrizione verranno ripartiti tra i diversi collegi della circoscrizione: ciò avviene in relazione alle diverse cifre elettorali conseguite dalla lista (nelle varie circoscrizioni e successivamente nei singoli collegi). Ciò significa che il numero di eletti nei vari collegi potrà subire delle variazioni.
Infine, una volta determinati i seggi spettanti a ciascuna lista in ciascun collegio, saranno eletti per ciascuna lista il capolista e successivamente i candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti di preferenza in ciascun collegio. Come detto, dunque, se una lista ottiene in quel collegio un solo seggio questi andrà al capolista e le preferenze non saranno servite a nulla.
5. Indichiamo a questo punto sinteticamente le critiche a tale sistema.
Secondo alcuni, il premio di maggioranza è troppo alto ed è assegnato con una percentuale di voti troppo bassa (40%), e tale quindi da snaturare la volontà elettorale. E’ una tesi che merita considerazione, a cui tuttavia si risponde che stabilire una soglia più alta avrebbe rischiato di non far mai ottenere il premio, vista la conformazione del sistema politico italiano.
La seconda critica riguarda i capilista ed il conseguente rischio di vanificare le preferenze: e qui la critica mi pare assai più fondata, specie tenendo conto che ogni capolista potrà presentarsi in ben 10 collegi, con la conseguenza che egli potrà decidere, qualora fosse eletto in più di uno, di decidere, con il gioco delle opzioni, chi far entrare e chi no.
Da alcuni si è poi criticata la soglia di sbarramento troppo bassa per le altre liste: il 3% consentirebbe infatti di entrare anche ai piccoli partiti, così frammentando le opposizioni e lasciando una maggioranza forte senza opposizioni forti. Anche su questa critica è possibile dissentire: perché se si stabilisse una soglia più alta vi sarebbero molti più voti dispersi (cioè che non producono seggi), ed a quel punto la distorsione della rappresentanza sarebbe ancora più grave di quella prodotta con il premio di maggioranza.
In definitiva: si poteva fare meglio? Sicuramente sì. L’Italicum non è un sistema perfetto, ma per onestà si deve anche dire che un sistema perfetto ancora non l’ha scoperto nessuno. Qualcosa di più, però, ci si poteva aspettare.
Emanuele Rossi
Professore Ordinario Diritto Costituzionale, Scuola superiore Sant’Anna, Pisa