L’Italia da Napolitano a Mattarella – Marco Olivetti [IT] [CAT]

1. Le prime settimane del 2015 hanno fatto registrare un importante cambiamento politico in Italia: il 14 gennaio il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si è dimesso ed il 31 gennaio è stato eletto il suo successore, Sergio Mattarella, che martedì 3 febbraio si è insediato al Palazzo del Quirinale come dodicesimo capo dello Stato della storia dell’Italia repubblicana. La vita politica italiana, di solito piuttosto turbolenta, ha gestito questo passaggio dando prova di maturità e di funzionalità: ciò non era affatto scontato, viste le difficoltà che nell’aprile del 2013 avevano segnato le più recenti elezioni presidenziali, nelle quali la mancata elezione dei candidati indicati dal Partito Democratico (il partito che ha la maggioranza relativa nelle due Camere del Parlamento italiano) aveva costretto il Presidente Giorgio Napolitano ad accettare una rielezione alla presidenza della Repubblica che non aveva precedenti nella storia repubblicana e che lo stesso Napolitano aveva più volte escluso nei mesi precedenti.

2. La doppia presidenza di Giorgio Napolitano (2006-2013 e 2013-2015) ha coinciso con un periodo delicato e complesso della storia italiana, nella quale il Presidente della Repubblica ha svolto un ruolo di protagonista, forse più di ogni altro dei suoi dieci predecessori alla suprema magistratura repubblicana. Tentare un bilancio del decennio presidenziale significa guardare al percorso di uno statista, alla storia del Paese e al ruolo della presidenza della Repubblica nel sistema di governo italiano. E qualsiasi bilancio della presidenza Napolitano deve muovere dal riconoscimento della grande levatura del Presidente, del suo eccezionale itinerario politico, che ne ha fatto quasi un “gigante” in un’era che talora appare dominata da “nani” politici. Il suo senso dello Stato e delle istituzioni repubblicane ricorda tempi lontani, così come il suo modo di comunicare, che è parso talora un po’ old-style. Il concetto-chiave della presidenza Napolitano può forse essere individuato l’idea di “istituzione” come patrimonio comune, da tutelare e proteggere al di là delle persone e delle ideologie che di volta in volta sono rappresentate nei diversi organi istituzionali: in un tempo nel quale prevale l’idea del politico “vicino”, “amico”, che dice quello che tutti o alcuni pensano (o credono di pensare), Napolitano ha sottolineato la dimensione istituzionale della politica democratica. In un tempo di particolarismi, ha proposto un’idea di interesse generale, che le istituzioni sono chiamate a servire.

Non sono certo mancati episodi discutibili durante i nove anni in cui Giorgio Napolitano ha occupato la presidenza della Repubblica – citeremo come esempi la mancata emanazione nel 2009 del decreto-legge in materia di “fine vita” (il c.d. caso Englaro) che era stato regolarmente deliberato dal governo Berlusconi, e l’intervento decisivo nella decisione di rimandare in India i due militari di marina Latorre e Girone (sotto processo da tre anni in quel Paese) – non si può non vedere questa convinzione: che l’interesse generale debba prevalere sui particolarismi (o su quelli che il Presidente, in quelle occasioni, ha ritenuto essere tali).Si tratta di una visione che ha le sue radici in una concezione della politica che in Italia è stata propria della classe politica liberale nei decenni successivi all’unità nazionale e che, forse, nel secondo dopoguerra, era stata fatta propria, oltre che dai migliori statisti democristiani, anche dal Partito comunista italiano (un partito che da rivoluzionario si era fatto istituzionale) e, in fondo, dalla stessa “prima Repubblica” nel suo insieme.

3. In nome dell’istituzione e dell’interesse generale, Napolitano ha interpretato la presidenza in due modi diversi: negli anni dal 2006 al 2010 e di nuovo dopo l’inizio del 2014, a fronte di maggioranze parlamentari chiare, ha lasciato ai governi (Prodi II dal 2006 al 2008; Berlusconi IV, dal 2008 alla metà del 2010 e Renzi, dal febbraio 2014) e alle loro maggioranze la conduzione della politica nazionale, come la Costituzione prescrive e come la logica di un regime parlamentare richiede. Nel convulso periodo apertosi nella seconda metà del 2010 – con la frammentazione della maggioranza di centro-destra che sosteneva il IV governo Berlusconi – e proseguito attraverso le crisi di governo del 2011 e del 2013 ed i governi Monti (2011-2013) e Letta (2013-2014), il Presidente della Repubblica ha invece assunto un ruolo da protagonista attivo, promuovendo i governi e le coalizioni, e presentandosi come interlocutore delle istituzioni europee, esercitando una leadership politica che lo ha avvicinato quasi ai presidenti della Quinta Repubblica francese.

Le funzioni presidenziali sono state ampliate in entrambi questi periodi: in particolare, il Capo dello Stato è intervenuto su tutte le grandi questioni della politica nazionale, e in particolare nel procedimento di formazione della legge (sollecitando più volte questo o quel provvedimento e talvolta spingendosi a scrivere personalmente lettere ai presidenti di commissioni parlamentari), svolgendo a tratti anche un ruolo di garante non solo verso l’Europa (in particolare durante la crisi dell’euro) ma anche verso gli alleati internazionali dell’Italia (si pensi alla crisi libica nel 2011 o alle posizioni assunte sull’acquisto degli aerei F-35 nel 2013). E non ha esitato neppure a sfidare l’altro potere “esuberante” dell’attuale stagione istituzionale italiana: nel conflitto costituzionale con la procura della Repubblica di Palermo ha affrontato e ridotto alla ragione le punte più discutibili dell’attivismo giudiziale italian style.

4. Verosimilmente, nella percezione soggettiva del Presidente, tutte queste scelte sono state imposte dall’interesse generale e dalla salus rei publicae, e probabilmente ciò è oggettivamente esatto. Ma alla conclusione del suo mandato si impone una riflessione sull’impatto di queste scelte sulla presidenza come organo costituzionale.

Al riguardo non si può non muovere dalla constatazione che la presidenza italiana è oggi un centro di potere di assoluto rilievo, molto più incisivo di tutti i capi di Stato nei regimi parlamentari contemporanei, sia di quelli monarchici che di quelli repubblicani. Addirittura il Presidente italiano ha una influenza, se non un potere politico, superiore a quello di molti presidenti eletti a suffragio universale (da quello portoghese a quello polacco, da quello finlandese a quello irlandese). E non si tratta solo di un “motore di riserva” (secondo la celebre definizione del potere presidenziale coniata da Carlo Esposito all’inizio degli anni sessanta), che si attiva quando il motore principale – l’asse governo-maggioranza parlamentare – si rivela disfunzionale: tutta la presidenza Napolitano, ben oltre i momenti di crisi, è stata segnata da un ruolo strategico del Capo dello Stato. La vera questione è dunque se l’attivismo presidenziale – delineatosi dalla presidenza Pertini (1978-1985) in poi – sia ormai ad un punto di non ritorno, nel quale il regime parlamentare italiano ha assunto tratti “dualisti”, e i governi devono convivere con un indirizzo politico che è determinato – oltre che dal corpo elettorale e dal Parlamento da questo eletto – anche dal Presidente della Repubblica.

5. Le dimissioni di Giorgio Napolitano, presentate, come si diceva, il 14 gennaio 2015, hanno avviato la procedura che la Costituzione italiana prevede per l’elezione del nuovo Presidente. Lo stesso 14 gennaio il Presidente del Senato, Pietro Grasso, ha assunto la carica di Presidente della Repubblica supplente, mentre la presidente della Camera dei deputati Laura Boldrini ha convocato il Parlamento in seduta comune per il pomeriggio del 29 gennaio. Nel frattempo i 20 Consigli regionali hanno proceduto ad eleggere i loro 58 delegati (3 per regioni, salvo la Valle d’Aosta che ne ha uno solo) che sono andati ad integrare i 630 deputati, i 315 senatori elettivi e i 6 senatori a vita (fra i quali vi era, dal 14 gennaio, lo stesso Napolitano) componendo così il collegio dei 1009 grandi elettori chiamati ad eleggere il Presidente della Repubblica secondo l’art. 83 della Costituzione italiana.

Ma soprattutto, dal 14 gennaio in poi, hanno avuto inizio le trattative tra le forze politiche per la scelta del nuovo Presidente, che sono state seguite attentamente dalla stampa e dalla televisione, le quali hanno reso nota una lista di una ventina di personalità fra le quali il nuovo Presidente sarebbe stato verosimilmente scelto. La Costituzione italiana non prevede infatti candidature formali alla presidenza della Repubblica, carica alla quale sono eleggibili tutti i cittadini che abbiano più di cinquant’anni di età e godano dei diritti civili e politici. Al di là dei nomi delle personalità (uomini e donne) che sono state considerate come in fatto eleggibili, il dibattito non ha tanto riguardato l’orientamento politico o culturale di tali personalità, quanto la natura “politica” o “tecnica” (o, meglio, non politica) del nuovo Presidente. Questo dibattito ha condotto le forze politiche ad escludere l’elezione di una personalità esterna al mondo politico (come il governatore della Banca Centrale Europea Mario Draghi, il Ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, l’ex giudice costituzionale Sabino Cassese o il Presidente dell’Autorità anticorruzione Raffaele Cantone), ma anche ad escludere l’elezione di una personalità caratterizzata da una militanza di partito particolarmente spiccata (come gli ex segretari del PDS Fassino e Veltroni, l’ex presidente del Consiglio Prodi e il Presidente della Regione Piemonte Chiamparino). La ricerca si è dunque indirizzata verso una personalità dotata di esperienza politica vasta e profonda, ma con un profilo “istituzionale”, vale a dire maturato soprattutto in un ruolo segnato dall’imparzialità, atteso che il ruolo del Presidente della Repubblica italiana è di solito sintetizzato nell’immaginario collettivo come quello di un “garante super partes”.

Ciò è del resto coerente con la storia della Presidenza della Repubblica in Italia: questa carica è stata sinora occupata da personalità che avevano occupato la presidenza di un’Assemblea parlamentare (De Nicola, Gronchi, Saragat, Leone, Pertini, Cossiga, Scalfaro, Napolitano) o che erano stati alla guida di istituzioni imparziali (come Ciampi ed Einaudi, ex governatori della Banca d’Italia, oltre che ex membri del governo). Degli undici presidenti succedutisi dal 1946 al 2015 solo Antonio Segni (capo dello Stato dal 1962 al 1964) sfugge a questa classificazione. In effetti, un po’ come l’arcivescovo di Milano e il Patriarca di Venezia sono di solito candidati “naturali” all’elezione a Sommo Pontefice, i Presidenti (o gli ex presidenti) delle due Camere hanno avuto in passato maggiori possibilità di essere eletti. Ciò nel 2015 non è accaduto in quanto i Presidenti delle due Camere oggi in carica (Grasso e Boldrini) non avevano un curriculum politico particolarmente spiccato e non sono ritenuti politicamente molto autorevoli.

Per questo, la ricerca di una personalità politica, ma con profilo istituzionale e di garanzia, si è indirizzata ai giudici costituzionali. In effetti, la Corte costituzionale italiana annoverava fra i suoi componenti almeno due personalità di grande spessore politico: l’ex Presidente del Consiglio Giuliano Amato e l’ex vicepresidente del Consiglio Sergio Mattarella. Nei giorni immediatamente precedenti alla riunione del Parlamento in seduta comune è apparso sempre più chiaro che queste erano le due personalità con maggiori possibilità di essere elette. Del resto, già nell’aprile 2013 Amato e Mattarella erano stati inclusi, assieme all’ex Presidente del Senato Franco Marini, nella shortlist che l’allora segretario del Partito democratico Bersani aveva sottoposto all’allora leader dell’opposizione Silvio Berlusconi e all’interno della quale era stato scelto Marini, poi naufragato nel voto dell’aprile 2013.

6. Le discussioni tra le forze politiche si sono intensificate a partire da lunedì 26 gennaio e la sera del 28 gennaio il Presidente del Consiglio Renzi, il quale, in qualità di segretario del Partito democratico (al quale afferivano ben 444 dei 1009 grandi elettori), ha reso informalmente noto che avrebbe proposto la candidatura di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica. Il 29 gennaio l’assemblea dei grandi elettori del Partito Democratico ha effettivamente approvato (all’unanimità) la proposta di Renzi, ma in un primo momento residuavano dubbi sia sull’effettiva coesione dei grandi elettori del PD, sia sulla possibilità di raccogliere il consenso anche di altre forze politiche, necessario a raggiungere la maggioranza costituzionalmente prescritta per l’elezione del Capo dello Stato. Dato che tale maggioranza è fissata nei due terzi dei grandi elettori nei primi tre scrutinii e nella maggioranza assoluta dal quarto scrutinio in poi, il Presidente del Consiglio ha proposto al suo partito di votare “scheda bianca” nei primi tre scrutinii e di votare per Mattarella solo dalla quarta votazione in poi. Pertanto i voti del 29 gennaio pomeriggio e i due scrutinii tenuti il 30 gennaio non hanno prodotto l’elezione del nuovo Presidente, ma i due giorni non sono stati inutili: essi sono infatti serviti a convincere gran parte delle forze centriste presenti in Parlamento ad unire i propri voti a quelli del Partito Democratico e di Sinistra Ecologia e Libertà a sostegno della candidatura Mattarella.

In tal modo, la mattina del 31 gennaio Mattarella è risultato eletto (a scrutinio segreto) con 665 voti su 1009, sfiorando la maggioranza dei due terzi (ormai non più necessaria) e superando di 150 voti la maggioranza assoluta costituzionalmente prescritta.

7. Sergio Mattarella è una personalità politica di grande esperienza: fratello di un Presidente della Regione siciliana ucciso il 6 gennaio 1980 in un attentato di mafia, è stato eletto deputato per la Democrazia Cristiana nel 1983 ed è stato rieletto nelle elezioni del 1987, 1992, 1994, 1996, 2001 e 2006. Dal 1993, dissoltasi la Democrazia cristiana, è entrato a far parte del Partito Popolare Italiano, poi dal 2001 della Margherita e dal 2007 del Partito Democratico. In questo periodo è stato più volte ministro (nei governi De Mita e Andreotti, alla fine degli anni ottanta) e poi vicepresidente del Consiglio e Ministro della Difesa nei governi D’Alema, oltre che presidente del Gruppo parlamentare del Partito Popolare alla Camera dei deputati. Nel 2008 si era ritirato dalla politica attiva, ma nel 2009 era stato eletto membro del Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa e nel 2011 giudice della Corte costituzionale. Il suo nome è legato alla legge elettorale semi-maggioritaria approvata nel 1993, di cui egli fu relatore alla Camera dei deputati (e che nell’opinione pubblica italiana è nota come Mattarellum). La sua cultura politica è quella di un democristiano di sinistra, nella tradizione che risale ad Aldo Moro. Come costituzionalista (ha insegnato diritto parlamentare a Palermo nei primi anni ottanta) è stato molto legato a Leopoldo Elia lo studioso di diritto costituzionale più vicino ad Aldo Moro.

8. Dopo l’elezione di Mattarella e il suo insediamento, l’opinione pubblica italiana si sta interrogando sul modo in cui il nuovo Capo dello Stato interpreterà il suo ruolo nei prossimi sette anni (il mandato del Presidente italiano, ripreso dal modello della Terza Repubblica francese, è eccezionalmente lungo in prospettiva comparata e contribuisce ad attribuire alla carica un “sapore” quasi monarchico). Questa domanda può trovare risposta a partire dalla constatazione di un bisogno, piuttosto diffuso nell’opinione pubblica e nel mondo politico, di un ritorno ad una presidenza “normale”, dopo gli anni dell’eccezionalità legati a Napolitano. Ciò, tuttavia, non significa affatto che il Presidente della Repubblica sia destinato ad essere un “organo inutile” (per riprendere una celebre definizione di Georges Clemenceau, il quale all’inizio del secolo scorso, dopo essere stato sconfitto da uno scialbo presidente della Camera nel suo tentativo di diventare Presidente della Repubblica francese, osservò acidamente che “il y a deux organes inutiles: la prostate et le Président de la République). Piuttosto, si deve notare che gran parte delle risorse della carica presidenziale stanno nella sua capacità di influire silenziosamente sugli organi politici “attivi” (magistratura di influenza), smussando gli angoli e moderando i conflitti più gravi (potere moderatore), senza diventare parte di essi (potere neutro).

Questo compito sarà arduo nei prossimi anni. La difficile situazione economica e sociale, la perdurante crisi di legittimazione della politica italiana e i cantieri aperti della riforma elettorale e costituzionale spingeranno il Presidente ad “uscire” dal suo Palazzo, come hanno fatto i suoi predecessori (soprattutto da Pertini in poi) e lo obbligheranno ad esporsi, se non altro perché alcuni lo accuseranno di inazione laddove vorrebbero una maggiore esposizione, mentre altri vigileranno su ogni sua possibile tracimazione. Ma forse l’esigenza principale che la presidenza di Sergio Mattarella trova davanti a sé è quella di accettare un ruolo “umile”, che favorisca l’autonomia delle forze politiche e la loro responsabilità nella soluzione dei problemi, piuttosto che sostituirsi ad esse secondo quel modello che l’Economist ebbe a definire, qualche anno fa, con l’arguto titolo “Italy’s nanny” (la bambinaia dell’Italia).

Mattarella – sia per la tradizione culturale del cattolicesimo democratico, da cui proviene, sia per il suo profilo umano – ha l’esperienza, la cultura e le doti idonee a guidare il ritorno della Presidenza della Repubblica italiana in un alveo di normalità che – pur non scivolando nell’irrilevanza o nell’inutilità – scommetta su una politica più capace di legittimarsi da sé e di autoregolarsi. Naturalmente resta sullo sfondo la ferrea regola dell’eterogenesi dei fini, che ha retto tutte le presidenze da Einaudi a Napolitano: quella secondo cui nessun Capo dello Stato dal 1948 ad oggi ha svolto il suo ruolo come avrebbero voluto le forze politiche che lo avevano eletto e come la maggioranza dell’opinione pubblica si attendeva al momento dell’elezione. Ma forse, date le attese e la simpatia con cui Sergio Mattarella inizia il suo mandato, si può legittimamente sperare che questa volta la presidenza sia conforme a queste attese. Anche perché questo segnalerebbe che l’infinita transizione italiana procede finalmente verso la sua conclusione.

Messaggio del Presidente della Repubblica al Parlamento nel giorno del giuramento

Marco Olivetti
(Professore ordinario di diritto costituzionale nell’Università LUMSA di Roma)

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Itàlia, de Napolitano a Mattarella – Marco Olivetti

1. Les primeres setmanes del 2015 han registrat un important canvi polític a Itàlia. El 14 de gener el president de la República, Giorgio Napolitano, va dimitir i el 31 de gener va ser escollit el seu successor, Sergio Mattarella, que dimarts 3 de febrer va assumir el càrrec al Palazzo del Quirinale com el dotzè cap d’Estat de la història de la Itàlia republicana. La vida política italiana, en general més aviat turbulenta, ha sabut manejar aquest pas, cosa que demostra maduresa i funcionalitat: això no era en absolut evident, vistes les dificultats de les darreres eleccions presidencials de l’abril de 2013, en què la no elecció dels candidats proposats pel Partito Democratico (el partit que té la majoria relativa a les dues càmeres del Parlament italià) va obligar el president Giorgio Napolitano a acceptar la seva reelecció a la presidència de la República, cosa que no havia tingut cap precedent en la història republicana i que el mateix Napolitano havia exclòs en diverses ocasions en els mesos precedents.

2. La doble presidència de Giorgio Napolitano (2006-2013 i 2013-2015) va coincidir amb un període delicat i complex de la història italiana, en què el president de la República va desenvolupar un paper protagonista, potser més que qualsevol altre dels seus predecessors a la suprema magistratura republicana. Si provem de fer un balanç de la dècada presidencial, hem de mirar amb retrospectiva tota la trajectòria d’un estadista, la història del país i el paper de la presidència de la República en el sistema de govern italià. I qualsevol balanç de la presidència de Napolitano ha de passar pel reconeixement de la seva gran alçada com a president, pel seu itinerari polític excepcional, que n’ha fet quasi un “gegant” en una època en què de vegades sembla estar dominada pels nans polítics. El seu sentit de l’Estat i les institucions republicanes recorda temps llunyans, així com la forma de comunicar, que semblava de vegades una mica old-style. El concepte-clau de la presidència de Napolitano té a veure amb la idea de les “institucions” com a patrimoni comú, a salvaguardar i protegir més enllà de les persones i de les ideologies que, de tant en tant, són representades en els diversos òrgans institucionals: en un temps en què preval la idea del polític com a “veí”, “amic”, que diu allò que tots o alguns pensen (o creuen pensar). Napolitano ha subratllat la dimensió institucional de la política democràtica. En un temps de particularismes, ha proposat el concepte de l’interès general, que les institucions són cridades a servir.

No han mancat moments discutibles durant els nou anys en què Giorgio Napolitano ha ocupat la presidència de la República –citarem com a exemples la no signatura, el 2009, del decret llei en matèria de “final de la vida” (el conegut com a cas Englaro) que va ser degudament aprovat pel govern de Berlusconi, i la intervenció decisiva en la decisió de fer romandre a la Índia els dos militars de la marina Latorre i Girone (sotmesos a judici des de fa tres anys en aquell país)– i no es pot obviar aquesta convicció: que l’interès general ha d’estar per sobre de l’interès particular (o per sobre d’aquells que el president, en algunes ocasions, ha considerat). Es tracta d’una visió que té les seves arrels en una concepció de la política que a Itàlia ha estat pròpia de la classe política liberal en les dècades posteriors a la unitat nacional i que, potser, després de la II Guerra Mundial, es va fer pròpia, tant per part dels millors estadistes democratacristians, com per part del Partit comunista italià (un partit que passava de revolucionari a institucional) i, en el fons, de la mateixa “primera República” en el seu conjunt.

3. En nom de les institucions i dels interessos generals, Napolitano ha interpretat la presidència de dues formes diferents: de l’any 2006 al 2010 i de nou després de l’inici del 2014, davant de majories parlamentàries clares, ha deixat al govern (Prodi II del 2006 al 2008; Berlusconi IV, del 2008 a la meitat del 2010 i Renzi, des de febrer de 2014) i a les seves majories la conducció de la política nacional, com prescriu la Constitució i com requereix la lògica d’un sistema parlamentari. En el període convuls que es va iniciar a partir de la segona meitat de 2010 –amb la fragmentació de la majoria de centre-dreta que sostenia el IV govern de Berlusconi– i després de les crisis de govern de 2011 i de 2013 i els governs de Monti (2011-2013) i Letta (2013-2014), el president de la República va adoptar, en canvi, un paper protagonista i actiu: va promoure els governs i les coalicions i es va presentar com a l’interlocutor de les institucions europees, que exercitava una leadership política que l’ha acostat gairebé als presidents de la V República francesa.

Les funcions presidencials es van ampliar en aquests dos períodes: en particular, el cap d’estat ha intervingut sobre totes les grans qüestions de la política nacional i, en particular, en el procediment d’elaboració de la llei (sol·licitant reiteradament aquesta o aquella resolució i de vegades entossudint-se a escriure personalment cartes als presidents de les comissions parlamentàries), jugant de vegades un rol de garant no només en relació amb Europa (en particular durant la crisi de l’euro) sinó també amb els aliats internacionals d’Itàlia (cal pensar en la crisi de Líbia de 2011 o en les posicions preses en relació amb la compra d’avions F-35 al 2013). I no va dubtar en desafiar l’altre poder “exuberant” de l’actual situació institucional italiana: en el conflicte constitucional amb la fiscalia de la República de Palermo va abordar i va fer redimensionar els aspectes més qüestionables de l’activisme judicial italian style.

4. Probablement, en la percepció subjectiva del president, totes aquestes opcions han estat imposades per l’interès general o per la salus rei publicae, i probablement això és objectivament cert. Però a la fi del seu mandat s’imposa una reflexió sobre l’impacte d’aquestes opcions a la presidència com a òrgan constitucional.

Referent a això, no podem passar per alt que la presidència italiana és avui un centre de poder rellevant, molt més incisiu que tots els caps d’estat dels règims contemporanis, ja siguin monàrquics o republicans. Fins i tot, el president italià té una influència, un poder polític, superior a la de molts presidents escollits per sufragi universal (des del portuguès al polonès; del finlandès fins a l’irlandès). I no es tracta només d’un “motor de reserva” (segons la cèlebre definició del poder presidencial realitzada per Carlo Esposito a l’inici dels anys seixanta), que s’activa quan el motor principal –l’eix govern-majoria parlamentària– resulta disfuncional: tota la presidència de Napolitano, molt més enllà dels temps de crisi, ha estat marcada per un paper estratègic del cap d’Estat. Per tant, la pregunta realment és si l’activisme presidencial –que va sorgir de la presidència Pertini (1978-1985) en endavant– es troba ara en un punt de no retorn, en què el règim parlamentari italià ha pres trets “dualistes”, i els governs han de viure amb un indirizzo polític que es troba determinat –tant per l’electorat com pel Parlament escollit per aquest primer– però també pel president de la República.

5. La renúncia de Giorgio Napolitano, presentada, com s’ha dit, el 14 de gener de 2015, va donar peu a iniciar el procediment que la Constitució italiana preveu per a l’elecció del nou president. El mateix 14 de gener, el president del Senat, Pietro Grasso, va assumir el càrrec de president de la República suplent, mentre la presidenta de la Càmera dels diputats, Laura Boldrini, va convocar el Parlament en sessió conjunta per a la tarda del 29 de gener. Mentrestant, les 20 assemblees regionals van escollir els seus 58 delegats (3 per regió, excepte la Valle d’Aosta, que només en té un) que van complementar els 630 diputats, 315 senadors escollits i els 6 senadors vitalicis (entre els quals hi havia, des del 14 de gener, el mateix Napolitano) el que componia, per tant, el col·legi dels 1009 grans electors cridats a escollir el president de la República, segons l’art. 83 de la Constitució italiana.

Però, sobretot, des del 14 de gener en endavant, es van iniciar les negociacions entre les diferents forces polítiques per escollir el nou president, que van ser seguides atentament per la premsa i la televisió. Aquests mitjans van publicar una llista amb una vintena de personalitats entre les quals es trobava el president que probablement seria triat. La Constitució italiana no preveu candidatures formals a la presidència de la República, un càrrec pel qual són elegibles tots els ciutadans que tinguin més de cinquanta anys i gaudeixin dels seus drets civils i polítics. Més enllà dels noms d’aquestes personalitats (homes i dones) que van ser considerades elegibles, el debat no s’ha centrat tant en la orientació política o cultural d’aquestes, sinó en la seva naturalesa “política” o “tècnica” (o, millor, no política) del nou president. Aquest debat va conduir a les forces polítiques a excloure de l’elecció personalitats externes al món polític (com el governador de la Banca Central Europea Mario Draghi, el Ministre d’Economia Pier Carlo Padoan, l’exmagistrat constitucional Sabino Cassesse o el president de l’Autoritat Anticorrupció Raffaele Cantone), però també a personalitats caracteritzades per una forta militància política (com els exsecretaris del PDS Fassino i Veltroni, l’expresident del Consiglio, Prodi, i el president de la Regió del Piemonte, Chiamparino). Per tant, la recerca es va orientar cap a una personalitat amb àmplia experiència política però amb un perfil “institucional”, és a dir, sobretot marcat per un rol significatiu d’imparcialitat, ja que el paper del president de la República italiana generalment és sintetitzat a l’imaginari col·lectiu com el d’un “garant super partes”.

De fet, això és coherent amb la història de la Presidència de la República a Itàlia: aquest càrrec ha estat fins ara ocupat per personalitats que havien ocupat la presidència d’una Assemblea parlamentària (De Nicola, Gronchi, Saragat, Leone, Pertini, Cossiga, Scalfaro, Napolitano) o que havien estat al capdavant d’institucions imparcials (com Ciampi i Einaudi, exgovernadors de la Banca Italiana, o altres exmembres del govern). Dels onze presidents successius des de 1946 al 2015, només Antonio Segni (cap d’estat des de 1962 a 1964) escapa d’aquesta classificació. De fet, una mica com l’arquebisbe de Milà i el Patriarca de Venècia, que són normalment candidats “naturals” a l’elecció com a Summe Pontífex, els presidents (o els expresidents) de les dues cambres havien tingut en el passat majors possibilitats de ser-ne elegits. Això no ha succeït l’any 2015, en relació amb els presidents de les dues cambres, que ocupen els respectius càrrecs (Grasso i Boldrini): no tenien un currículum polític particularment destacat i tampoc s’han considerat com a políticament rellevants.

Per això, la cerca d’una personalitat política, però amb un perfil institucional i de garantia, es va orientar cap els jutges constitucionals. En efecte, la Cort Constitucional italiana comptava d’entre els seus membres almenys amb dues personalitats de gran relleu polític: l’expresident del Consiglio, Giuliano Amato, i l’exvicepresident del Consiglio, Sergio Mattarella. En els dies immediatament precedents a la reunió del Parlament en sessió conjunta era cada vegada més evident que aquestes eren les dues personalitats amb major possibilitat de ser escollides. D’altra banda, ja a l’abril de 2013, Amato i Mattarella van ser inclosos, juntament amb l’expresident del Senat, Franco Marini, a la shortlist que el llavors secretari del Partito democratico, Bersani, havia presentat al llavors líder de l’oposició, Silvio Berlusconi, i on Marini va ser escollit, descartat seguidament en la votació de l’abril de 2013.

6. Les discussions entre les forces polítiques es van intensificar a partir del dilluns 26 de gener, i el vespre del 28 de gener el president del Consiglio, Renzi, qui en qualitat de secretari del Partito democratico (al qual pertanyien 444 dels 1009 dels grans electors), va fer saber de manera informal que proposarien la candidatura de Sergio Mattarella a la presidència de la República. El 29 de gener l’assemblea dels grans electors del Partito Democratico van aprovar efectivament (per unanimitat) la proposta de Renzi, però en un primer moment hi havia dubtes tant sobre la cohesió dels grans electors del PD, com per la capacitat d’obtenir el suport de les altres forces polítiques, necessari per aconseguir la majoria constitucional establerta per a l’elecció del cap d’Estat. Atès que la majoria es troba en dos terços dels grans electors en els primers tres escrutinis i en la majoria absoluta del quart escrutini en endavant, el president del Consiglio va proposar al seu partit votar en blanc en les tres primeres voltes i votar per Mattarella només a partir de la quarta votació. Per tant, la votació del 29 de gener a la tarda i les dues votacions realitzades el 30 de gener no van aconseguir escollir el nou president, però aquells dos dies no van ser pas debades: van servir, de fet, per convèncer gran part de les forces centristes presents al Parlament per afegir els seus vots als del Partito Democratico i de la Sinistra Ecologia e Libertà, en suport a la candidatura de Mattarella.

D’aquesta manera, el matí del 31 de gener Mattarella va resultar escollit (mitjançant vot secret) amb 665 vots de 1009, fregant la majoria dels dos terços (que en aquell moment no era necessària) i superant per 150 vots la majoria absoluta constitucionalment establerta.

7. Sergio Mattarella és una personalitat política amb gran experiència: germà d’un president de la Regió siciliana mort el 6 de gener de 1980 en un atemptat de la màfia, va ser escollit diputat per la Democrazia cristiana el 1983 i va ser reelegit en les eleccions del 1987, 1992, 1994, 1996, 2001 i 2006. Des de 1993, dissolta la Democrazia cristiana, va entrar a formar part del Partito Popolare Italiano, després, des de 2001, de Margherita i, des de 2007, del Partito Democratico. En aquest període de temps va ser diverses vegades ministre (en els governs De Mita i Adreotti, a finals dels anys vuitanta) i vicepresident del Consiglio i ministre de Defensa en els governs D’Alema, a més de president del grup parlamentari del Partito Popolare a la Cambra dels Diputats. L’any 2008 es va retirar de la política activa, però al 2009 va ser escollit com a membre del Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa i l’any 2011 jutge de la Cort Constitucional. El seu nom està lligat a la llei electoral semimajoritària aprovada el 1993, de la qual va ser ponent a la Cambra dels Diputats (i que a l’opinió pública italiana és coneguda com Mattarellum). La seva cultura política és aquella d’un democratacristià d’esquerres, de la tradició que es remunta a Aldo Moro. Com a constitucionalista (va impartir dret parlamentari a Palermo a principi dels anys vuitanta), va estar molt lligat a Leopoldo Elia, l’estudiós de dret constitucional més proper a Aldo Moro.

8. Després de l’elecció de Mattarella i la seva presa de possessió, l’opinió pública italiana s’està qüestionant sobre la forma en què el nou cap d’Estat executarà el seu paper en els pròxims set anys (el mandat del president italià, reprès del model de la III República francesa, és excepcionalment llarg en perspectiva comparada i contribueix a atribuir-li un “sabor” gairebé monàrquic). Aquesta pregunta pot trobar resposta a partir de l’observança d’una necessitat, força generalitzada en l’opinió pública i el món polític, de retornar a una presidència “normal”, després dels anys d’excepcionalitat de Napolitano. Això, però, no vol dir que el president de la República hagi de ser un “òrgan inútil” (per reprendre una cèlebre definició de Georges Clemenceau, qui a l’inici del segle XX, després d’haver estat derrotat per un president sord de la Cambra, en el seu intent de convertir-se en president de la República francesa, va comentar àcidament que “il y a deux organes inutiles: la prostate et le Président de la République”). Més aviat, s’ha d’assenyalar que gran part dels recursos del càrrec de president radiquen en la seva capacitat d’influir silenciosament sobre els òrgans polítics “actius” (magistratura d’influència), suavitzant els angles i moderant els conflictes més greus (poder moderador), sense arribar a ser-ne part (poder neutral).

Aquesta serà una tasca difícil en els pròxims anys. La difícil situació econòmica i social, la duradora crisi de legitimitat de la política italiana i les qüestions obertes de la reforma electoral i constitucional empenyeran el president a “sortir” del seu Palau, com van fer els seus predecessors (sobretot des de Pertini en endavant) i l’obligaran a exposar-se, si més no perquè alguns l’acusaran de manca d’acció, ja que preferiran una major exposició, mentre que d’altres vigilaran cada possible extralimitació. Però potser el requisit principal amb què es trobarà la presidència de Sergio Mattarella serà el d’acceptar un paper “humil”, que afavoreixi l’autonomia de les forces polítiques i la seva responsabilitat en la solució dels problemes, en lloc de substituir-los segons aquell model que l’Economist va definir, uns anys enrere, amb l’enginyós títol “Italy’s nanny”.

Mattarella –ja sigui per la tradició cultural del catolicisme democràtic, d’on prové, o ja sigui pel seu perfil humà– té l’experiència, la cultura i les qualitats adequades per liderar el retorn de la Presidència de la República italiana a un jaç de normalitat que –mentre no caigui en la irrellevància o la inutilitat– aposti per una política més capaç de legitimar-se i autoregular-se. Per descomptat, roman en el fons la regla fèrria de l’heterogènesi dels propòsits, que ha tingut lloc en totes les presidències des d’Einaudi fins a Napolitano: aquella segons la qual cap cap de l’Estat des de 1948 fins avui ha desenvolupat el seu paper com haguessin volgut les forces polítiques i com la majoria de l’opinió pública entenia en el moment de l’elecció. Però potser, donada l’expectació i simpatia amb què Sergio Mattarella inicia el seu mandat, es pot esperar legítimament que aquesta vegada la presidència avanci en la línia de les expectatives creades. També perquè això seria un senyal del fet que la infinita transició italiana avança, finalment, cap a la seva fi.

Per a més informació vegeu el missatge que dirigeix el nou president Mattarella el dia del jurament

Marco Olivetti

Catedràtic de dret constitucional de la Universitat LUMSA de Roma

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